18.6.12

La fuga circolare di Sam Insull


«Insull ha fatto perdere ai suoi clienti 750 milioni di dollari. Il magnate di Chicago ha agito nel tessuto dell’economia americana come un cancro maligno»: la denuncia rimbalza per mesi da un giornale all’altro e finisce per cadere sulla scrivania del governatore dello Stato dell’Illinois.
Quando, l’11 aprile 1932, si apre finalmente l’inchiesta ufficiale sull’attività finanziaria dell’ex segretario di Thomas Edison, Samuel Insull è sparito. Due giorni prima, riempita la Cadillac di valigie, è fuggito con la moglie senza pagare l’ultimo salario settimanale ai 36 «gorilla».
La fuga di Insull è una delle pagine più grottesche della storia della depressione americana. Milioni di persone impegnate a lottare con la miseria seguono con emozione febbrile l’avventurosa peregrinazione di un uomo solo, non più colpevole di altri che sono riusciti a rimanere nell’ombra. I giornali pubblicano vistosi titoli su ogni tappa dell’odissea dell’ex finanziere: «Insull è in Canada». «Il magnate bancarottiere si è imbarcato a Quebec con la moglie diretto in Inghilterra», «Insull non è sbarcato in Inghilterra. Forse il fuggiasco è sceso durante lo scalo della nave a Cherbourg e ha raggiunto Parigi».

Un mattino del novembre 1932, appunto in una strada di Parigi, un giornalista americano riconosce in mezzo alla folla l’americano più famoso del momento. Insull cammina appoggiandosi a un bastone dal pomello d’oro e sembra avere riacquistato l’aria grave e solenne dei, vecchi tempi. Il giornalista lo pedina sino a un albergo di rue de la Seine, poi telefona all’ambasciata degli Stati Uniti.
Contro Sam Insull ormai da un mese è stato spiccato un mandato di comparizione e l’ambasciatore americano a Parigi può chiedere la collaborazione della polizia francese. I gendarmi arrivano in rue de la Seine troppo tardi: Insull e la moglie sono partiti in gran fretta.
La coppia fuggiasca ricompare venti giorni dopo ad Atene. Fra la Grecia e gli stati Uniti non esistono ancora accordi per l’estradizione dei ricercati dalla polizia e per un anno Insull vive al sicuro. Poi, quando le autorità greche, cedendo alle pressioni americane, preparano un provvedimento per espellerlo, Insull riprende la fuga, imbarcandosi sul Maiotis, un ansimante battello a vapore diretto in Egitto. Durante la navigazione, il vecchio Sam vive incollato alla radio di bordo spedendo messaggi a Gibuti, ad Ankara, ad Addis Abeba: l’ex imperatore di Chicago invoca il diritto d’asilo, ma ogni suo messaggio è respinto. Insull tenta ancora. Convince il capitano del Maiotis ad allungare la rotta e, mentre il battello comincia a girare in tondo attorno alle isole Cicladi, spedisce altri messaggi via radio. L’ultimo è per l’emiro dello Yemen: in cambio del diritto d’asilo Sam Insull è disposto ad abbracciare la fede islamica. Da Saana, capitale dello Yemen, non arriva alcuna risposta. Esaurite tutte le speranze, Insull si arrende: «Sbarcatemi a Istanbul» ordina al comandante della nave.
All’arrivo in porto, la banchina è gremita di giornalisti americani accorsi per assistere alla cattura. Quando Insull scende dalla passerella del Maiotis due poliziotti turchi in uniforme e uno in abito borghese, con le manette pronte a scattare, gli vanno incontro. Il vecchio finanziere, il volto impassibile, porge rassegnato i polsi.

Diciassette giorni di traversata in una cabina del piroscafo Exilonia trasformata in cella, lo sbarco a New York, il viaggio sul rapido per Chicago in un vagone riservato gremito di poliziotti, l’ingresso nel carcere di Cook Country: l’ultima fase del ritorno di Insull è seguita dalla radio e dai giornali d’America con enfasi spropositata.
Con Samuel Insull sembra che il Male stesso sia trascinato in catene verso l’espiazione e finisce che la gente, con uno di quei capovolgimenti di fronte che non sono rari nelle psicosi collettive, comincia a vedere nel vegliardo finito in carcere il capro espiatorio che i veri responsabili della crisi economica hanno deciso di sacrificare all’ira popolare. Quando, cinque mesi più tardi, il 2 ottobre 1934, Samuel Insull si presenta davanti ai giudici del tribunale federale di Chicago, l’opinione pubblica si è ormai completamente convertita alla sua causa: il vecchio finanziere è stato vittima di una crudele caccia all’uomo.

Poiché è rovinato, poiché è ridotto al miserevole livello delle sue vittime, la società, appagata, può mostrarsi generosa con lui, e Insull è abile nell’accattivarsi l’indulgenza dei milioni di americani che leggono sui giornali o ascoltano alla radio i resoconti delle udienze del processo. Posando gentilmente per i fotografi e piangendo spesso, Insull traccia della propria vita un quadro patetico: da povero immigrato a magnate della finanza, non ha fatto altro che seguire fedelmente le regole del più autentico capitalismo americano. È stato intraprendente, instancabile e ottimista: lo ha animato soltanto il desiderio di contribuire al benessere degli americani. Gli «errori dì valutazione» che gli possono essere attribuiti sono ampiamente compensati dalla buona fede con cui ha agito sempre.
La sua difesa è abile: i capitalisti possono essere fortunati o sfortunati, ma la sfortuna è un inevitabile «rischio del mestiere» e non è in base a essa che devono essere giudicati. Ciò che conta, ciò che li rende benemeriti dello sviluppo del Paese è proprio il coraggio di affrontare i rischi che sono legati a qualsiasi attività economica. Condannare in tribunale un capitalista soltanto perché sfortunato, significa scoraggiare lo spirito d’intraprendenza che fa nascere nuove industrie, nuove imprese commerciali.
Dopo due mesi di processo e due ore di discussione in camera di consiglio, la giuria dichiara Samuel Insull «non colpevole». La sera stessa egli lascia la prigione di Cook Country accolto dagli applausi di una piccola folla festosa.

L’America è stanca di sentir parlare di crisi, vuole seppellirne i ricordi e dimenticarne i fantasmi. Il nome di Insull scompare dai giornali e dalla corta memoria dell’America che sta riprendendo la sua corsa al benessere. Quattro anni di silenzio, poi, un giorno di ottobre del 1938, poche righe frettolose nelle ultime pagine dei quotidiani per annunciare sbrigativamente che Samuel Insull ex finanziere di Chicago è morto per collasso cardiaco in una strada di Parigi. «Quasi ottantenne – precisano i giornali – viveva come un tranquillo pensionato nella villa parigina di un banchiere di Wall Street.».
UGO PETTENGHI